Il recente incaglio della portacontainer Ever Given nel canale di Suez ha distratto per qualche giorno le testate giornalistiche dalle note ed ormai ricorrenti notizie sulla pandemia da Covid-19, che ormai da oltre un anno caratterizzano le giornate di ogni abitante del pianeta.
Si è innescato per un attimo un importante diversivo rispetto alla quotidianità; tuttavia ben presto ci si è dovuti rendere conto che, perlomeno da un punto di vista economico, si stava consumando una ulteriore ed importante tragedia nella crisi pandemica.
Superata l’emergenza, grazie anche all’intervento di unità provenienti dall’Italia (il rimorchiatore “Carlo Magno” della società Augustea ha collaborato alle operazioni di salvataggio) è già il momento per i soggetti danneggiati di capire che tutele possono avere per limitare le conseguenze economiche del disastro che si è verificato che, fortunatamente, non ha comportato la perdita di vite umane né danni ambientali.
Le tipologie di danni che possono essere riconducibili all’evento sono principalmente ricollegabili al ritardo nell’esecuzione del trasporto marittimo da parte delle oltre 400 unità navali che sono state coinvolte dal blocco del canale e che, a seconda delle scelte commerciali e contrattuali effettuate, hanno deciso di attendere lo sblocco del canale, ovvero hanno cambiato rotta, allungando il trasporto di circa 10 giorni, circumnavigando il continente africano. Il ritardo ha inoltre senz’altro avuto un impatto sull’autorità del canale di Suez, che non ha potuto sfruttare i ricavi derivanti dal passaggio delle navi, ma anche a valle sui destinatari delle merci trasportate dai vettori/noleggiatori che, a loro volta, hanno e dovranno senz’altro affrontare problematiche contrattuali derivanti dall’esecuzione del contratto di trasporto.
L’attività investigativa delle autorità (egiziane e panamensi) che assume, allo stato, una notevole importanza nella individuazione dei soggetti responsabili del sinistro (armatore/ noleggiatore/ autorità del canale di Suez/piloti) non deve distogliere l’attenzione dei soggetti danneggiati dalla necessaria preparazione strategica (quale giurisdizione scegliere) e documentale di un reclamo che, al di là dell’impostazione finale, possa essere considerato legittimo da parte dell’autorità che sarà chiamata ad analizzarlo.
In questo senso non si può comunque prescindere dalla fase preliminare consistente nella responsabilizzazione di tutti i soggetti che, astrattamente, potrebbero avere contribuito alla causazione dell’incidente, da cui nascono i danni che il reclamante è, in prima istanza, costretto a sopportare.
Allo stesso modo non va trascurata l’attività di raccolta della documentazione che possa portare a dimostrare, dinnanzi a qualsiasi autorità giurisdizionale, la tipologia del danno subito e la quantificazione del medesimo, sia nella sua componente diretta che nella sua componente indiretta.
Di pari passo alle iniziative sopra descritte occorre ottenere costanti aggiornamenti in merito alle procedure eventualmente azionate dai soggetti che, all’esito delle inchieste marittime in corso, dovessero essere riconosciuti anche parzialmente responsabili. In particolare, con specifico riferimento all’armatore (noleggiatore della nave) occorrerebbe accertare l’eventuale apertura della procedura di limitazione del debito armatoriale, al fine di predisporre ed inserire nell’elenco delle domande la propria richiesta risarcitoria. Sotto altro profilo, laddove invece le responsabilità fossero da attribuire alle autorità del canale di Suez, si renderebbe necessario verificare attraverso consulenti specializzati l’azionabilità del proprio reclamo nell’ambito della giurisdizione egiziana.
In entrambi i casi, un ulteriore passo da compiere nell’attivazione della propria richiesta risarcitoria, anche al fine di ottenere l’eventuale rilascio di lettere di garanzia a tutela del proprio credito risarcitorio, è l’individuazione degli assicuratori della responsabilità armatoriale/civile dei soggetti che dovessero essere riconosciuti responsabili.
Non va peraltro nascosto che i reclami marittimi potrebbero essere soggetti alle limitazioni di responsabilità previste dalle convenzioni internazionali applicabili alla fattispecie, in particolare dalla convenzione di Londra del 1976 sulla limitazione di responsabilità per i crediti marittimi. Sotto altro aspetto, invece, dette limitazioni non possono essere invocate dall’autorità del Canale di Suez la cui responsabilità diretta (autorizzando l’entrata della nave, nonostante la prevista tempesta di sabbia) o indiretta (attraverso i piloti) potrebbe non essere condizionata dagli strumenti che, a livello internazionale, sono stati pensati per compensare in termini di rispondenza il rischio di impresa che incombe sugli armatori.
Si tratta comunque di valutazioni allo stato meramente prospettiche, che dovranno tenere conto degli esiti delle indagini delle autorità preposte. In questo senso, un probabile limite in capo al reclamante è costituito dall’impossibilità di partecipare, anche solo passivamente, alle indagini marittime sull’evento.
In un contesto di tale incertezza, a fronte delle complesse e prolungate attività investigative, che verranno svolte sul sinistro, nonché di una crisi economica mondiale esacerbata dall’emergenza pandemica, la catena logistica coinvolta nel trasporto delle merci, anche per il tramite dei propri consulenti, è senz’altro chiamata ad esplorare con attenzione soluzioni commerciali che preservino i rapporti contrattuali fra gli operatori, nell’ottica di una complessiva ed auspicata ripresa dell’economia dei trasporti.